Le lontre di Prato

Bologna, tardo pomeriggio, è  verosimilmente caldo dopo un aprile fin troppo invernale, tanto che divisa estiva e condizionatori accesi sembrano  essere d’obbligo,  ma basta scavalcare l’appennino per ritrovare il maltempo, se poi di maltempo si tratta, sembra piuttosto un acquazzone estivo.
Il macchinista mi fa notare ben due arcobaleni e poi raggiungendo l’ingresso della stazione di Prato la vista è ancora più suggestiva: l’arco si affaccia sul piccolo parco di fronte alla stazione, il getto della fontana, spostato dal vento, stuzzica le possenti chiome intorno e sopra si allarga uno spicchio di cielo azzurro, di una tonalità piena, coperto da piccole nuvole livide e infastidito da una luce squillante che può solo preannunciare un temporale.
Superiamo il ponte, sembra ancora pomeriggio, ma è già ora di cena, mi intenerisco vedendo le testine di due mammiferi che nuotano nell’acqua,  chissà perché penso a delle lontre, coi loro piedini palmati e la lunga coda, il collega non esita però a mostrarmi la sua perplessità. Mi sfiora un pensiero ed inorridisco… ed eccolo là, sull’altra sponda, proprio sotto di noi, ben visibile: non si tratta di un’adorabile lontra bensì di un roditore, un enorme topo marrone, un ratto più grande di un gatto, brutto e peloso con il suo muso baffuto e la nuda coda rosa, la riproduzione ingigantita del topolino che siamo abituati a incontrare tra i binari della stazione di Bologna, la brutta copia di una nutria sui 4-5kg pronta a buttarsi in acqua e a nuotare come le sue simili sull’altro lato del fiume.

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