Fermarsi

Un giorno succede che hai la casa vuota e le faccende da fare ma ti guardi intorno e ti ritrovi a trentanni che non sono più ormai solo trenta, sempre più distante da quel limbo bellissimo dei primi anni di maternità dove non ti importa niente se non tornare a casa e giocare coi lego insieme a tuo figlio, dove l’unico canale trasmesso dal tuo televisore tutto il giorno è Baby TV o Disney junior, quando corri, corri tutto il giorno e le tue passioni, le tue ambizioni rimangono assopite … Oppure no! oppure fioriscono prendendo linfa dall’energia e dalla voglia di vivere dei bambini, ma tutto questo ha una scadenza, e tu sei lì in sospeso che ti guardi intorno, che non ti senti cambiata, ma le persone chiedono di tè, di quello che eri prima, chiedono delle tue passioni, chiedono che fine hanno fatto.

Ti chiedi se queste persone hanno ragione. Ti rispondi che tu conosci te stesso e ti lasci andare all’introspezione.

Ma il dubbio è stato insinuato, il seme gettato e ora devi per forza aprire quella porta socchiusa, devi per forza entrare in quella cantina invasa dagli oggetti, quella stanza dove non metti piede da anni, dove sono i tuoi libri dell’università, i tuoi pattini, i tuoi distintivi scout, i cd con la tua musica, gli accessori del tuo gatto, l’attrezzatura da campeggio e gli stuoini per il fiume. Era tutto in ordine una volta, ma ora è tutto sommerso dalla confusione: tricicli dismessi, lettini smontati, palloni, una montagna incontrollata di esperienze ed esistenze sovrapposte, a chi importa di quel primo strato la sotto, schiacciato da tutto? No! Non voglio aprire quella porta!

Sto bene qui fuori, con le giornate che scorrono e io corro, ma poi mi fermo.

Ti fermi nel prato fuori dalla scuola pieno di margherite, dove i bambini corrono, giocano, si rotolano per terra e tu parli del più e del meno con qualche altro genitore, mentre il sole inizia a scaldare le prime giornate di primavera, e stai bene.

Ti fermi sfogliando un settimanale trovato in treno, dove scopri che nell’ultima pagina qualcuno che scrive come te, ma probabilmente molto meglio di te, ha uno spazio dedicato, e ti chiedi cosa ne è stato della tua voglia di scrivere, di iscriverti all’albo dei giornalisti come pubblicista, che ne è stato del tuo blog, dei tuoi treni … e non stai bene.

Ti fermi sui social dove un tuo professore ti invita ad un suo convegno sul marketing: un altro ramo secco è stato gettato per riattizzare il fuoco, e senti proprio la vampata, l’impeto di scrivere, di fare, di partecipare e aggiorni il tuo curriculum, scrivi un articolo, e leggi, leggi, leggi per poi accantonare di nuovo tutto, e rimangono solo le braci appena sufficienti a scaldare la cena.

Ti fermi a guardare i binari della ferrovia che scorrono dal finestrino della tua auto, i segnali, un cavalcavia poi la macchina gira e tu segui con lo sguardo il treno che si allonta mentre i bambini litigano su quale canzone mettere nello stereo.

Ti fermi mentre tutto scorre.

Mi ha sempre affascinato il rapporto tra il moto e la staticità, un artefatto come un’istantanea, come se tutto si congelasse, la calma prima della tempesta, il treno vuoto prima della partenza, il rumore della pioggia che batte mentre sei in tenda, immobile dentro al sacco a pelo; l’estraneazione, viaggiare con la mente leggendo un libro nella staticità di una panchina al sole. Sto davanti a quella porta, ferma perché se aprissi la confusione mi travolgerebbe, come una valanga, e non posso tornare indietro perché so cosa c’è di là, perché mentre sto ferma l’incendio non è stato estinto, continua a propagarsi di radice in radice per scoppiare nuovamente a chilometri di distanza.